Conoscere i costi delle cure odontoiatriche non serve a niente

La questione della conoscenza del costo di produzione del prodotto commercializzato o del servizio prestato è, in generale, da considerarsi un’informazione che è meglio avere. I manuali che trattano l’analisi dei costi sono numerosi, e anche per l’odontoiatria si possono trovare indicazioni sul come procedere per ottenere questa informazione. Visto lo sforzo organizzativo e amministrativo che l’averla impone, per quale motivo, a parte la legittima curiosità, lo si dovrebbe sostenere?

Per sapere se vale la pena darsi da fare per sapere quanto è costata l’otturazione fatta alla signora Pina, ci si può allora domandare: avuta quell’informazione, cosa può cambiare nella mia situazione?

Cominciamo a ragionare sulla questione della misura del reale guadagno, o della perdita, che dalla conoscenza del costo della prestazione può scaturire. Se ci si accorgesse che ci si rimette, bisognerebbe ovviamente aumentare i prezzi, o rinunciare per il futuro ad eseguire quella particolare prestazione. Ma è possibile? Per quanto riguarda i prezzi, l’informazione sul costo delle cure sarebbe utile se i primi fossero variabili a piacimento, cosa che è fattibile più in teoria che in pratica. Si pensi, al limite, ai prezzi per le prestazioni convenzionate, decisi in modo del tutto indipendente dalla volontà del dentista, il quale può solo accettarli, e si capirà che anche se si scoprisse che ci si rimette, l’unica libertà sarebbe quella di rifiutare di eseguire la prestazione in convenzione. Si pensi anche che i prezzi dei dentisti, in linea generale, non sono quasi mai basati sui costi di produzione, che per la maggioranza dei professionisti rimangono tuttora ignoti. I prezzi, nella stragrande maggioranza degli studi, si fissano infatti sulla base di ciò che si ritiene essere un prezzo praticabile nella particolare situazione del professionista, del territorio e del paziente. Tutti elementi che nulla hanno a che fare con i costi.

Per quanto riguarda la situazione in cui si scoprisse che eseguire una certa prestazione fa perdere denaro, o guadagnare troppo poco, ci si può veramente rifiutare di eseguirla? Se lo si facesse, è probabile che il servizio reso al paziente ne risentirebbe, ne sarebbe impoverito, con le conseguenze del caso, non ultima quella della perdita del cliente.

Per concludere questa prima disamina della questione “costo delle cure”: in base a quanto esposto conoscere quanto è costata l’otturazione della signora Pina, o l’igiene del pensionato Giovanni, non serve e potrebbe perfino indurre comportamenti controproducenti.

Oltretutto, se andiamo a guardare l’aspetto strettamente economico dell’attività del dentista, è assolutamente plausibile che lo stesso non sia minimamente interessato a sapere il costo per lui di singole prestazioni, anche perché sa bene che ogni prestazione, seppur uguale a livello di nomenclatore ad un’altra, nella pratica può essere molto diversa nelle condizioni di esecuzione. Ed avrebbe ragione, in quanto caratteristica di una produzione come quella sanitaria è che il costo di una cura è misurabile con precisione solo dopo averla eseguita. Basterà allora, a livello del controllo di gestione, essere in grado di sapere se l’attività nel suo complesso, cioè l’insieme delle prestazioni eseguite, fra quelle che rendono molto e quelle che fanno perdere, alla fine di un certo periodo, ad esempio l’anno, ha portato sufficiente reddito al suo titolare o meno. Se lo avrà fatto, a che scopo fare lo sforzo richiesto dall’analisi dei costi di produzione di una attività così complessa, come quella odontoiatrica?

Basterà allora, al dentista, disporre di un sistema amministrativo efficace nel sapergli dire se l’attività nel suo insieme va bene o no. Oltretutto, disporre di un sistema del genere è molto meno impegnativo dello scoprire il costo delle prestazioni, ci si può anche giovare dei dati presenti nel gestionale, meglio ancora di quelli presenti in una eventuale contabilità specializzata presente in studio, cosa sempre più consigliata visti i tempi, o al limite di quelli del commercialista, per quanto con alcune riserve. Meglio dei dati del commercialista potrebbero essere quelli dell’home banking, visto che sempre di più si assiste alla rarefazione delle transazioni per contanti.

Per sintetizzare:

  • se non hai potere sui prezzi, a che serve conoscere i costi?
  • in una produzione variegata e altamente variabile nelle sue condizioni di svolgimento, non conviene risparmiare energie e concentrarsi, amministrativamente, sulla misura del risultato dell’attività nel suo complesso, anziché su quello delle singole prestazioni?
  • e poi, data la variabilità delle condizioni produttive tipiche dell’odontoiatria, a cosa serve avere un dato preventivo di costo, se è molto probabile che non sarà rispettato?

Per quale altro motivo, o motivi, vale dunque la pena lavorare amministrativamente per conoscere il costo delle prestazioni eseguite?

Se ritieni che, nonostante quello che hai appena letto, ti possa interessare sapere quanto ti è costato eseguire l’otturazione della signora Pina, l’igiene del pensionato Giovanni o la protesi su impianti del ragionier Francesco eseguita dal consulente, l’occasione d’oro è quella di frequentare un corso specialistico, alla portata di tutti, che si terrà a Roma il 6 maggio 2023. A questo link ogni informazione: https://corsiodontoiatriaecm.it/corso/costi-e-prezzi-delle-cure-odontoiatriche-il-corso-base

Costo orario dello studio dentistico (3^ puntata): fissi, variabili, diretti o indiretti? Ci vuole aria nuova!

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[COSTO ORARIO DENTISTI]

Di Paolo Bortolini *

Ecco la terza puntata della serie sul “costo orario” nello studio dentistico. Per ricevere notifica delle prossime uscite, mettere il “mi iscrivo” su questo Blog o il “mi piace” sulla  nostra pagina Facebook

Riassunto delle puntate precedenti

Fatta un po’ di luce sulle idee non proprio precise che ancora circolano nel mondo dei dentisti, si è poi affermato che: 1) il “costo orario” è un puro espediente contabile per ripartire in modo equo i “costi fissi” sulle singole prestazioni già eseguite; 2) la sua formula generica è perciò “Costi fissi”/Tempo; 3) ha natura puramente consuntiva; 4) avercelo alto o basso nulla cambia sul risultato economico dello studio; 5) se si chiama “orario”, nulla avrà a che fare con le poltrone; 6) il tempo che si deve prendere come denominatore della formula generale è quello detto “dello studio” illustrato nella seconda puntata.

In questa puntata si discuterà sui costi da prendere a base del calcolo del “costo orario”.

Innanzitutto, si dovrebbe spiegare che cosa è un “costo”. I più probabilmente credono che un costo sia rappresentato da un esborso di denaro. Ma se questo soddisfa il ragionamento del “padre di famiglia”, non va bene per quello gestionale. Un costo è la misura monetaria della quantità impiegata di una risorsa in un processo produttivo. Risorse sono i beni e servizi utilizzati per lavorare, i capitali propri e di terzi utilizzati allo stesso scopo. In alcuni casi questa misura corrisponde all’esborso di denaro, in altri no. L’ammortamento è un costo annuale, ma l’esborso di denaro è avvenuto magari anni prima; un materiale di consumo utilizzato, può non essere ancora stato pagato, e via esemplificando. Non è alla portata di questi articoli spiegare la natura dei costi (e se non se ne capisce la natura è utopistico controllarli), cosa per cui rimando ai miei corsi. Detto ciò, da qui in avanti diamo per scontato che quando parliamo di costi…si sappia cosa stiamo maneggiando!

 

“Fissi e variabili”, “diretti e indiretti”: siamo sulla strada giusta?

Molti anni fa, e precisamente nel 2001, detti un’indicazione poi ripresa praticamente da tutti quelli che hanno scritto e scrivono sul punto, di considerare “fissi” tutti i costi diversi da: materiali odontoiatrici consumati (che è cosa diversa dagli “acquistati”), parcelle dei collaboratori per le prestazioni da loro eseguite sui pazienti del dentista loro committente, lavori di laboratorio consegnati. Era il 2001, e questa proposizione è contenuta a pagina 20 di un mio libro di testo. Questa indicazione era dovuta all’intento di agevolare al massimo l’impegno del dentista su questioni a lui di solito estranee, per risparmiargli i vari dubbi che possono sorgere quando ci si interroga sulla natura di un costo. Quei “costi fissi”, scrivevo in quel testo, erano infine da dividersi per il tempo dedicato alle prestazioni e il gioco era fatto: voilà il “costo orario”. E’ passato molto tempo e i dentisti sono diventati più bravi nella matematica dei loro costi, si usano di più i programmi informatici di calcolo. E’ ora quindi di fare un passo in avanti, di salire di livello. E di cambiare “aria”, cioè terminologia.

Un po’ di chiarezza però è bene prima farla, perché, come ho scritto nella prima puntata, troppi usano disinvoltamente e a sproposito i termini di costi “fissi”, “variabili”, “diretti” e “indiretti”. Qualcuno perfino sostiene che i costi “fissi” sarebbero quelli “indiretti”. Non è così. Le due distinzioni, fissi/variabili, diretti/indiretti, non sono nemmeno “parenti”.

La prima nasce e serve solo nell’ambito delle analisi “costo-volume-profitto”, note anche come analisi del “punto di pareggio” (break-even point). In sostanza, quella distinzione serve quando si vuole sapere quanto lavoro si deve fare per coprire i costi e cominciare a guadagnare. L’analisi di break-even si presta anche a molti altri interessanti utilizzi, di cui uno che ho messo a punto personalmente è particolarmente legato al “costo orario”, di cui dirò prossimamente. Sarà “fisso” quel costo che, pure variando in più o in meno le ore dedicate alla produzione di prestazioni resta, più o meno, uguale. Viceversa, sarà “variabile” quel costo che, se non si produce per niente… non c’è. In “soldoni”, fisso è quel costo che “scatta” anche quando lo studio è chiuso per ferie, es. un affitto, mentre variabile quello che, a studio inoperativo, non esiste.

Quando invece si parla di costi “diretti e indiretti”, si è nell’ambito dell’analisi di singoli “oggetti di costo”: se prima non dico a quale “oggetto di costo” sto cercando di “fare le pulci”, non posso sapere se un dato costo sarà “diretto” o “indiretto”. Il criterio per distinguerli, rispetto all’oggetto di costo, è il seguente: “diretto” è quel costo che posso assegnare subito, senza “se e ma” ad uno specifico oggetto (caso esemplare, la protesi o l’impianto che è costo tutto e solo di uno specifico paziente nonché di una ben specifica seduta, perciò basta sommarlo agli altri costi, di quella seduta e di quel paziente, e si è risolto il problema); “indiretto” è invece quel costo che si sostiene per causa di più di un oggetto di costo (il consumo della confezione del materiale d’impronta avviene “spalmandosi” su più di un paziente, su più di una seduta, e se lo voglio quindi assegnare, in giuste proporzioni, ai singoli oggetti di costo, cioè a “quel” paziente e a “quella” seduta, devo per forza adottare una metodologia “indiretta”, es. un valore medio). A livello dell’intera attività, se ci si pensa, tutti, ma proprio tutti i costi, diventano “diretti”.

Nella tavola che segue si può vedere il modello degli “oggetti di costo” odontoiatrici che è alla base delle mie consulenze, dei miei software per l’analisi dei costi e dei miei insegnamenti:

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L’osservazione della “cascata” fa capire:

  • lo stretto collegamento fra i costi dei vari “oggetti”;
  • che se devo conoscere e controllare i costi (e quindi il rendimento!) dell’intera attività, basta sapere come conoscere e controllare quelli di ogni singola operazione/seduta; e ovviamente in modo preciso e dettagliato, se no saran dolori;
  • una volta che ho “ben lavorato” sull’analisi dei costi della singola operazione/seduta, ho in mano, in automatico, i costi di tutti gli altri oggetti e con semplici somme ho in mano il “controllo di gestione” dell’intera attività.

 

I costi che entrano nel calcolo del costo orario

Riprendo una frase che ho scritto prima: è ora di fare un passo avanti, di “cambiare aria”, superando di botto in tema di analisi dei costi dello studio odontoiatrico le distinzioni “aziendalistiche” appena esaminate. Suggerisco di comportarsi come segue con i propri costi:

  1. non considerare i costi che non c’entrano con la produzione; via quindi spese private o considerate solo a scopo fiscale, via anche quei costi che non sono  proprio indispensabili alla produzione di prestazioni (es. automezzi, corsi professionali i quali sono più costi che riguardano la persona dell’odontoiatra che lo studio); se non si tolgono questi costi, non si potrà sapere qual’è il vero margine delle operazioni cliniche; perché se c’è un valido margine ti paghi le auto, i corsi e pure lo stipendio e le vacanze, altrimenti no; non si dimentichi che tutta questa “cosa” del costo orario alla fine deve servire per sapere se i prezzi che fai e il lavoro che hai sono sufficienti per coprire i costi e dare guadagno. E per sapere dove mettere “chirurgicamente” mano se le cose non dovessero andare come si desidera;
  2. considerare principalmente, per il calcolo del “costo orario” solo quei costi che si possono assegnare alla operazione sulla base della sua durata oraria (cost driver = tempo); es. tutti i costi che maturano perché scorre il tempo: stipendi, affitti, assicurazioni, ammortamenti, leasing, parcelle a tempo del commercialista (non le sue prestazioni speciali es. contenzioso o consulenza particolare) ma anche la manutenzione delle attrezzature perché l’usura e i guasti sono certamente proporzionali al tempo del loro impiego; chiameremo questo gruppo di costi COSTI DI TEMPO;
  3. tutti i costi che si riesce invece ad assegnare o direttamente a singoli pazienti o a ripartire sulla base del numero di operazioni eseguite nel periodo di cui si stanno misurando i costi (cost driver = numero di operazioni), non devono entrare nel conteggio del costo orario; oltre che i vari materiali odontoiatrici, la protesi e le parcelle dei collaboratori, si possono considerare in questo gruppo anche le spese telefoniche (ripartite in media sul numero di sedute di un paziente, perché logica, dell’analisi dei costi, vuole che un paziente “ci fa telefonare” tanto più viene in studio), la cancelleria e comunque tutte le spese che rientrano nel criterio di assegnazione descritto fra le parentesi. E ce ne sono più di quello che potrebbe, a prima vista, apparire. Questi costi li chiameremo CONSUMI.

Il sistema delineato non richiede grossi sforzi, di sicuro meno che stare li a interrogarsi, magari basandosi su teorie sbagliate e confusionarie come tante se ne vedono, su “fissi, variabili, diretti e indiretti”. Segnalo che è disponibile un programma gratuito (“Agenda della sera”) per eseguire l’analisi del costo orario, ma anche quella dei costi e del rendimento per le singole tipologie di prestazioni.

Il “costo orario” sarà dunque, d’ora in poi, da calcolarsi:

COSTI DI TEMPO/TEMPO TOTALE DEDICATO

sarà quindi un costo consuntivo e preciso. Nel prossimo articolo si comincerà ad illustrare come si utilizza il “costo orario” una volta calcolato. E ricordarsi che “le poltrone” nulla c’entrano! Per approfondire e avere insegnamenti, software e materiali, l’ideale è considerare di partecipare ai miei corsi teorici e pratici. A disposizione per approfondimenti anche a 0498962688. Grazie

 

* dottore commercialista, consulente e formatore per la gestione delle attività in odontoiatria. Tel. 0498962688. Clicca per –> le consulenze. Clicca per–> i corsi.

Costo orario dello studio dentistico (2^ puntata): ma quale “orario”?

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[COSTO ORARIO DENTISTI]

Di Paolo Bortolini *

Ecco la seconda puntata della serie sul “costo orario” nello studio dentistico. Per ricevere notifica delle prossime uscite, mettere il “mi iscrivo” su questo Blog o il “mi piace” sulla  nostra pagina Facebook

Riassunto delle puntate precedenti

Nella prima puntata, fatta un po’ di luce sulle idee non proprio precise che ancora circolano nel mondo dei dentisti, ho sostenuto che l’unico valido concetto di “costo orario”, se si vuole stare dentro al perimetro della contabilità analitico-aziendale, è quello che serve per distribuire sulle varie prestazioni (già) eseguite la massa dei costi fissi sostenuti. Concetti diversi da questo, sono da considerarsi, seppure anche di utilità, relativi ad altre esigenze informative, non più parte della contabilità dei costi. Una tabellina mostrava la formula generalizzata del “costo orario”, ottenuto dividendo i costi fissi per il tempo. Soprattutto, si è mostrato che un “costo orario” più alto o più basso nulla incide sul risultato economico finale dello studio. In questa nuova puntata, si dirà di quale “misura del tempo” si deve disporre per conoscere il “costo orario” del dentista!

Si fa presto a dire “orario”. Ma quale orario?

Come anticipato nella prima puntata, il “costo orario” si ottiene con una divisione: costi diviso tempo. Niente di complicato, dunque. Ma il lettore giustamente vorrà anche sapere di quali costi, e per questo dovrà pazientare fino ad una successiva puntata di questa serie, e quale tempo. E di questo dirò qui e ora.

Come prima considerazione, si sappia che nel calcolo del costo “orario”, ma guarda, devono entrare appunto delle ore. Non delle giornate, ne come detto nella prima puntata, oggetti che con il tempo nulla hanno a che fare, vedi le poltrone. E già arrivare a digerire questa idea consente di ritenersi molto ben avviati sulla strada del corretto conteggio del “nostro” parametro per la distribuzione di giuste quote di costi fissi sui pazienti (se saranno poi veramente “fissi”, lo saprà chi continuerà a seguire le prossime puntate). Quali ore dunque? E una volta individuate, come le si deve misurare?

Dai minuti alle ore, il tempo produttivo del dentista

Una mia datatissima (1992) ma sempre valida e attuale diapositiva che utilizzo nei miei corsi, potrà aiutare a capire la realtà del tempo produttivo del dentista, anzi, dei tanti tempi che caratterizzano la sua attività, fra i quali ben bisognerà scegliere quello che dovrà servire per conoscere il “costo orario” con la semplice formula di calcolo di cui già si è detto. Eccola:

I_TEMPI_2019

Il tempo che serve per il calcolo del “costo orario” è, ovviamente, un tempo economico, non clinico. Precisamente, va individuato come quel tempo che lo studio dedica ad un singolo paziente trattato conteggiato come il tempo, e per motivi di “scala” e di praticità si tratterà di conteggiare dei minuti, cui gli viene dedicata in esclusiva, anzi, meglio  dire “bloccata”, la risorsa produttiva “scarsa” dello studio: la sala operativa, o sintetizzando, la poltrona. La “scarsità” della risorsa poltrona, dipende dal fatto che finché è “bloccata” per un paziente non la posso utilizzare per un altro, non posso cioè, visto che parliamo di economia, utilizzare quella poltrona per produrre un ricavo.

Il paziente che ha avuto la prestazione, pertanto, in base all’approccio alla giusta distribuzione dei costi fissi fra i clienti dello studio che stiamo seguendo con il concetto di “costo orario” come lo andiamo dipanando, dovrà dunque “pagare il costo della poltrona” in proporzione al tempo in cui l’ha utilizzata per ricevere la prestazione. L’idea di collegare la quota di costi fissi alla durata della seduta, regge pensando al fatto che in uno studio dentistico “generalista” si eseguono prestazioni che hanno tempi anche molto diversi fra loro. Se quindi si utilizzasse, per distribuire i costi fissi fra le varie prestazioni, un parametro diverso, ad esempio il numero complessivo degli appuntamenti “fatti” in un periodo, succederebbe che pazienti che hanno “occupato” la poltrona per due ore si troverebbero a dover “pagare” la stessa quota di costi fissi di quelli che si sono seduti per 10 minuti, magari per un veloce “controllo”. La non-equità dell’approccio appena tratteggiato, seppur presente nella dottrina della cost analysis, è evidente e perciò, in odontoiatria generalista, lo si scarta.

Corollario: se un paziente “salta” l’appuntamento non sarà possibile assegnargli alcuna quota di costi fissi in quanto il tempo dedicatogli è uguale a zero.  La produzione mancata a seguito di “salti” di appuntamento va considerata appunto come tale, cioè inesistente e pertanto non la si può conteggiare in alcun modo valido come un costo. Chi lo fa introduce un elemento illogico in ragionamenti che si devono basare sulla razionalità numerica. Con ciò, un eventuale addebito di un “ristoro” al paziente per il suo poco urbano comportamento, sarà da considerarsi al più un compenso o ricavo eccezionale, ma nulla avrà a che fare con il “costo orario”.

Ma insomma, qualcuno penserà, il Dottor Bortolini si decide o no a rivelarci quale tempo, di quelli della sua diapositiva, dobbiamo usare per conteggiare il tempo dedicato ai pazienti che abbiamo curato in un periodo e dunque a farci scoprire il denominatore della formula del “costo orario”? Come no: è il “tempo della seduta”, quello che rappresenta la durata del “blocco” della poltrona in esclusiva per un solo specifico paziente.

Le ore da mettere a denominatore della formula del “costo orario”, sono date dalla somma del “tempo della seduta” in minuti, convertita in ore, dei pazienti curati da tutti i clinici che operano presso lo studio, e senza considerare il numero di poltrone, nel periodo di cui interessa misurare il “costo orario”.

Tutto sull’uso del “costo orario”, e degli altri costi dello studio dentistico a questo link

* dottore commercialista, consulente e formatore per la gestione delle attività in odontoiatria. Tel. 0498962688. Clicca per –> le consulenze. Clicca per–> i corsi.

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