Di Paolo Bortolini
Prime riflessioni. Ogni tanto mi trovo con qualche ex compagno di classe, per giocare una briscola a coppie. In quel gioco, al giro finale ogni coppia sa che carte ha in mano l’altra, ma non sa chi dei due avversari ha la carta “pesante”, di solito l’asso. La giocata della coppia con le carte peggiori, si decide allora sulla base di un’ipotesi concordata fra i due sodali, relativa a quale dei due avversari ha, appunto, in mano l’asso. L’ipotesi si fonda, come spesso accade e non solo nella briscola, sulla memoria, sulle interpretazioni di quanto è accaduto nella partita, sulle facce degli avversari, o sul caso.
La situazione determinata oggi dal “coronavirus” mi ricorda quella dell’ultimo scarto della briscola: dove sta l’asso? Meglio: cosa succederà alla fine dell’emergenza? Perché è su questa ipotesi, da farsi presto, al più entro un po’ di giorni, che si potrà decidere come “giocarsi” le carte che si hanno per cercare intanto di resistere, e poi di riprendersi.
Ebbene, al momento io, giocatore amatoriale di briscola, non sono ancora in grado di fare una sola ipotesi. Ne ho tre. Anzi, due, di cui una con due varianti. Sono ovviamente aperto ad ascoltare ogni altra opinione e a cambiare idea.
Ipotesi numero 1: TUTTO COME PRIMA
Questa ipotesi è, a mio avviso, quella più probabile. Prima o poi, uscirà un vaccino o comunque una cura efficace. Gli ospedali si svuoteranno e, come è accaduto alla fine delle guerre, in poco tempo, qualche settimana, la gente si sarà dimenticata tutto. Prevale la voglia di tornare a vivere, a spendere, a godere. Con questo spirito nel tempo ci sono stati i grandi boom economici, a seguire le catastrofi. La dimenticanza riguarderà anche gli usi e i costumi, inclusi quelli delle cure odontoiatriche “proibite”: negli studi si riprenderà a lavorare a pienissimo ritmo, anzi di più vista la stasi forzata, esattamente come prima e senza modificare abitudini e procedure.
Qualcuno potrebbe obiettare che, forse, sconfitto il COVID 19 arriverà un altro poco simpatico e non invitato inquilino del nostro organismo, venendo magari invece che da un pipistrello da un pesce. Ma a questa obiezione, si può efficacemente rispondere “alla Tex Willer”: mai fasciarsi la testa prima di avercela rotta.
Ipotesi numero 2: MAI PIU’ COME PRIMA
Invece, alla fine della briscola si potrebbe pensare che le cose non saranno mai più identiche a prima, che le abitudini saranno del tutto abbandonate, in favore di nuove procedure, di nuove attenzioni. In tal caso, pensando ai dentisti, non mi viene altro in mente (per ora) che una totale revisione dell’organizzazione del lavoro e anche degli spazi fisici degli studi. Si pensi ad obblighi, espliciti o impliciti, perché anche se non ci fosse una legge in merito è prevedibile che saranno gli stessi pazienti a pretenderne il rispetto, di avere in studio un paziente alla volta, di arieggiare i locali dopo ogni seduta, di adottare nuove tecnologie di purificazione dell’aria, di decontaminare superfici e oggetti con più cura e in più tempo di oggi, di “bardarsi” con adeguati DPI, di mantenere le distanze di sicurezza e quant’altro. Il risultato sarebbe che gli studi vedrebbero meno pazienti, a causa dei maggiori tempi necessari per eseguire le sedute, vedendo con ciò ridursi le possibilità di realizzare ricavi, e con maggiori costi, a causa delle ulteriori procedure collegate alla sicurezza e al contenimento della diffusione di agenti virali. Tale risultato, già di suo preoccupante, andrebbe ad intrecciarsi con una plausibilmente ridotta disponibilità di spesa del pubblico che frequenta gli studi, cosa che renderebbe assai difficile “scaricare” sulla clientela il peso di quei minori ricavi e maggiori costi. Un bel rebus, di difficile se non impossibile soluzione. Che tipo di studi sarà in grado di reggere in questa ipotetica situazione?
Ipotesi numero 2 con variante: ADDIO AL PRIVATO
Per rispondere all’ultima domanda, si potrebbe ulteriormente ipotizzare che quella difficile, forse impossibile, sostenibilità della odontoiatria nel caso di paura permanente di contagio, possa essere gestita solo da strutture particolarmente concepite e attrezzate, talmente costose che dovranno essere sovvenzionate, magari dall’Ente pubblico. In sostanza, la fine dell’odontoiatria privata come la conosciamo. L’alternativa delle aggregazioni fra dentisti, fare delle società, potrebbe aiutare, ma la miscela “maggiori costi operativi+meno soldi in tasca alla gente” potrebbe rendere inutile anche questa soluzione. A mio avviso, come minimo si dovrebbe pensare a modificare i contratti con cui si assumono i dipendenti, perché i costi del lavoro connessi agli attuali contratti ordinari di lavoro sono, e sia chiaro lo sono sempre stati, insostenibili per attività come la medicina, soggette alla famosa “febbre da costi” descritta dall’economista William Baumol. Magari cooperative di lavoro, dove le ASO potranno lavorare per i dentisti a condizioni inferiori rispetto agli attuali contratti. Dal lato dei dentisti, si potrebbe pensare di agevolare la creazione di strutture di capitale le quali investissero in strutture, dunque delle pure società di mezzi, da affittare agli odontoiatri, a tanti odontoiatri, che così non dovrebbero addossarsi i costi dei leasing e dei mutui ma disporrebbero dei mezzi per operare, anche se di proprietà altrui. L’alternativa, come detto, è l’odontoiatria sovvenzionata da terzi, privati o pubblici che siano. Con i dentisti, di diritto o di fatto, come dipendenti. Io stesso sono venuto a conoscenza di operazioni gestite da grandi gruppi della cooperazione che, viste con il “senno del poi”, potrebbero perfino essere già state pensate politicamente per sostituire il modello privatistico attuale con dell’altro.
Io per ora continuo a ragionare, insieme con i dentisti e gli operatori economici del settore con i quali, mai come ora, mi confronto giornalmente. Per perfezionare l’ipotesi sul “dove sta l’asso della briscola”. Sono a disposizione di chiunque voglia consigli o conforto allo 0498962688.
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