Pagare qualcuno per avere pazienti

Procacciatori di pazienti “implantari” e “diversificazione dell’offerta” degli studi odontoiatrici

Si discute sul Forum Odontoline e su un gruppo FB sul fatto che i dentisti ricevono numerose offerte di “ragazzi” che promettono di mandare pazienti allo studio dietro il pagamento di una fee iniziale (si è parlato di circa 1.500 €.) e il successivo riconoscimento di una “provvigione” sui singoli “casi implantari” da loro procurati. Mi pare che nessuno si pone il problema della legalità di queste pratiche quando messe in atto da un professionista ordinista.

Faccio presente, per pura informazione dei dentisti, che le cose per altri ordini professionali sono diverse. Agli iscritti all’ordine dei commercialisti e a quello degli avvocati, è fatto esplicito divieto, norme deontologiche, di procurarsi clienti tramite agenzie (rispettivamente art. 19 e art. 37 dei codici deontologici): “Al professionista (commercialista ndr) è fatto divieto di aquisire clientela tramite agenzie, procacciatori, mediatori o con qualsiasi modalità di intermediazione.”, “L’avvocato non deve acquisire rapporti di clientela a mezzo di agenzie o procacciatori o con modi non conformi a correttezza e decoro.”. Forse, se in due codici deontologici ci sono norme del genere, qualche motivo ci sarà pure. Non vedo analogo divieto, nel codice deontologico OMCEO: i medici e gli odontoiatri sembrano dunque liberi di farsi procacciare clienti a pagamento. Ci sarà qualcuno che storcerà il naso, altri invece che diranno: “embè, che ci vuoi fare? L’importante è incassare.”.

Sono però convinto di altre cose. Intanto, che ricevere clienti al di fuori di un rapporto fiduciario, del fisiologico “passaparola” che non va visto solo come canale di allargamento numerico della clientela, ma anche di reperimento di clienti “ecocompatibili” con la fisionomia di ogni studio, possa creare dei danni nei modi meno prevedibili: se una cosa parte male, nel senso che è snaturata fin dall’origine (a meno che non si sia deciso che ciò che fa l’odontoiatra o il commercialista o l’avvocato equivale alla vendita di un abbonamento alla palestra), forzata, qualcosa può facilmente andare storto come l’esperienza di molti professionisti credo possa confermare.

Poi pensando ai discorsi che faccio, praticamente ogni giorno, con i miei clienti dentisti mi domando: ma tutta questa enfasi pubblicitaria sui pazienti implantari, da dove viene? Ci sono, e io questo non lo so, praterie di edentuli?

Ieri mi ha chiamato un dentista quarantenne per chiedermi consiglio, uno molto informato, e gli ho chiesto lumi osservando che sui social si vedono postati quantità abbondanti se non maggioritarie di casi appunto “implantari”. Ho osservato che chi avesse puntato solo su impianti e sulla pubblicità, magari i “denti subito” e il prezzo, si sarebbe trovato a fronteggiare la concorrenza degli albanesi, e avrebbe alla fine inesorabilmente perduto la partita.

Ebbene, il dentista quarantenne profferì: è la popolazione sopra i 60 anni che ha bisogno di impianti, io vedo i giovani e la prevenzione ormai ha debellato l’edentulismo, occorre affiancare all’odontoiatria altre specialità, sennò i ricavi languono. Vero? Falso? A mio avviso, ma potrei sbagliare, ci sono anche molti “giovani (40-50) che perdono i denti, vuoi per uso di sostanze, vuoi per digrignamenti vari o altro. Poi, ho detto al dentista quarantenne, la faccenda che “la prevenzione avrebbe azzerato il bisogno del dentista” è vecchia come il cucco, ricordo un editoriale di Carlo Guastamacchia, un 30 anni fa, sul Dental cadmos, che sosteneva questo. Ma ancora oggi la gente ha bisogno del dentista, per fortuna.

Premesso tutto questo, osservo anche, e pongo a chi ha voglia di star dietro alle mie elucubrazioni, e che ha dunque avuto la pazienza di leggere tutta questa tiritera, la questione: è vero o non è vero che “l’odontoiatria non basta più” e occorre aggiungere altre “cose” (che potrebbero anche essere fuori dal perimetro della medicina: per informazione, Dentalpro sta lanciando i suoi poliambulatori); e poi torno sul punto: pagare qualcuno per farsi procurare clienti è il modo migliore per allargare la clientela?

Le impressioni di una giovane ASO e i pensieri in libertà di un navigato consulente

Ieri ero presso uno studio di una professionista che assisto nella gestione come consulente. A giovane ASO assunta da qualche mese, che ho contribuito a trovare con inserzione e selezione, ho chiesto: “Allora, come si trova qui?”, lei risponde: “Bene! E’ tutto diverso da dove lavoravo prima, sa, era una CLINICA“. Lo scambio di battute continua così: io: “Ah, una CLINICA, allora si lavorava molto?”, aso: “Si si, fanno pubblicità, hanno più sedi”, io: “Una clinica dice, ma quante poltrone avevate?”, aso: “Cinque poltrone”, io: “Ah, allora lo stesso numero di poltrone che ha lo studio dove è ora!”, aso: “Si, in effetti”, io: “e in quante assistenti eravate?”, aso: “tre”, io: “Ah, due in meno che qui.”.

Morale: la parola “clinica” nell’immaginario evoca grandi dimensioni, magari anche quando ciò non corrisponde alla realtà dei fatti, ma…basta la parola.

Continuo a incalzare la gentile aso: “Ma se le poltrone sono le stesse, dove è la differenza con la sua clinica?”, aso: “Beh, li non c’era il titolare come qua, eravamo tutti sullo stesso piano, ci sentivamo più liberi”. io: “Ma ci sarà ben stato qualcuno che non dico comandava, ma almeno coordinava, o no?”, aso: “Si, c’era un’impiegata che presentava i preventivi, e però domandava sempre a noi e ai medici delle cose, perchè non sapeva tutto della parte clinica, era lei che aveva i contatti con qualcuno da fuori che credo fosse un titolare, ma non abbiamo mai visto”.

Il dialogo con questa aso mi ha fatto pensare, intanto al fatto che non ci siano chiare regole rispetto all’utilizzo della parola “clinica” nelle denominazioni che si danno alle attività odontoiatriche: si vedono chiamare “cliniche” studi con due poltrone. Questo non mi sembra un fattore di chiarezza rispetto al pubblico.

Poi, ho pensato a questo gruppo di medici e assistenti, che si organizzava da solo, che doveva prendere decisioni senza l’aiuto, o l’incombenza, di un titolare che può essere percepito come sempre pronto a giudicare, che spesso impone le sue decisioni anche estemporanee, che cambia improvvisamente programmi, insomma in situazioni così spersonalizzate come quella vissuta dalla giovane aso nella sua presunta clinica, dove tutte le decisioni sono gestite da gruppi estemporanei, che cambiano magari spesso e che si devono autoorganizzare, forse il processo lavorativo è più fluido anche più produttivo

Dentisti e intelligenza artificiale? No problem

INTELLIGENZA ARTIFICIALE. Commercialisti, avvocati, consulenti del lavoro, notai, programmatori di software, progettisti…..non dico che “se la fanno sotto” paventando di perdere lavoro a causa di questa “MIRACOLOSA” intelligenza artificiale (per ora di sicuro stanno perdendo lavoro grafici, disegnatori, copywriter). Ma insomma….

MA I DENTISTI NO! Per loro fortuna, e per quella di chi con loro e su di loro ci lavora, come sostengo da sempre: “IL DENTISTA NON RIMARRA’ MAI SENZA LAVORO”! Finchè la componente manuale è parte costitutiva delle prestazioni e la gente, per ricevere la cura, si deve recare fisicamente presso i luoghi deputati, non solo l’intelligenza artificiale, sempre per fortuna, ai dentisti gli farà un baffo, ma anche molte altre “minacce”, vedi la crisi economica (le prestazioni sono necessarie non “optional” e alla gente si può sempre “andare incontro” con i prezzi, come ho sempre visto fare dai dentisti che conosco, e inoltre i costi delle attività si possono sempre adeguare se necessario).

Il pericolo per il lavoro dei dentisti a mio avviso al momento non viene nè dalla crisi nè dalla tecnologia, che ancora non ha creato macchine con mani esperte, ma casomai da provvedimenti legali che consentano a non laureati di eseguire parte delle operazioni oggi di stretta competenza, quella che io chiamo “l’odontoiatria senza gli odontoiatri”, magari sulla base della considerazione che ci sono pochi dentisti rispetto alla domanda di cure

Se il 2023 ti è andato bene, puoi avere uno sconto sulle imposte da pagare. Come?

Sai cos’è la “Tassa piatta incrementale”? (no, non ha a che fare con il “terrapiattismo” ma puoi forse risparmiare qualcosa se…)

…Se nel 2023 il tuo reddito di lavoro autonomo è stato superiore a quello che hai conseguito nel 2020 o nel 2021 o nel 2022. In pratica, se il 2023 ti fosse andato meglio dei precedenti tre anni, e dichiari un reddito superiore a uno di quei tre anni precedenti, sulla differenza puoi avere un interessante “sconto” sulle imposte da pagare. Vale solo per quest’anno, salvo proroghe, quindi: chi può ne approfitti. La cosa è opzionale, e si opta compilando un’apposita sezione della dichiarazione dei redditi di quest’anno.

Nell’immagine un esempio, con un mio foglio di calcolo Excel, di un caso in cui un reddito 2023 che risulta superiore al più alto di quelli dichiarati nei tre anni precedenti, optando per la FTI, ipotizzando un aliquota media fra irpef e addizionali del 33%, si risparmiano €. 1.980. Li buttiamo via?

I 6 PRINCIPI DEL “CONTABILE ODONTOIATRICO”

Pubblico un pensiero sulla tenuta della contabilità. Non pretendo ovviamente di imporlo, è una mia riflessione, una sorta di “zibaldone di pensieri contabili”, penso più indicata agli studi di non grande dimensione, grazie per i commenti se ci saranno.

Principio nr. 1 della contabilità odontoiatrica – Al contadin non far sapere…

Alcune informazioni amministrative sull’attività non dovrebbero essere note ai dipendenti, in particolare: saldo dei conti bancari; ammontare dei debiti; ammontare e motivo dei prelievi personali da parte del titolare; la eventuale presenza di elementi che possono rivelare lo stato di crisi dell’attività.

Dal punto di vista organizzativo e del buon andamento dell’attività, tali riserve sono motivate dall’intento di non inserire elementi che possano disturbare l’ordinaria prestazione del dipendente, facendo sorgere in lui o lei dei sentimenti di critica, invidia, rivalsa qualora potesse sentirsi discriminato o svantaggiato vedendo come il titolare utilizza i fondi per fini personali.

In presenza di stati di crisi, anche solo temuti, il dipendente che lo venisse a sapere verrebbe caricato di problemi che non fanno parte della natura del rapporto di dipendenza, potendo creare atteggiamenti ansiosi e in definitiva rischiando di turbare la relazione contrattuale con il datore di lavoro.

Si tenga presente che il dipendente vede comunque come vanno le cose, osservando la quantità di appuntamenti, gli incassi, l’atteggiamento dei fornitori verso l’attività, il tenore di vita del titolare e altre manifestazioni che riguardano l’impiego del denaro prodotto dall’attività, anche dalla sua. La disponibilità di informazioni più dettagliate, come quelle indicate, potrebbe rafforzare il dipendente nel formulare dei giudizi negativi sul titolare, a confrontare quanto guadagna lui con ciò che spende il datore di lavoro sentendosi sfruttato, a tirare delle conclusioni e a prendere iniziative, con i clienti, i fornitori, anche con i colleghi del titolare, che non gli spetterebbero. In pratica, la diffusione di informazioni che andrebbero invece considerate riservate al titolare ne può mettere in discussione la leadership e indurre o aumentare la conflittualità in studio.

Si tenga anche presente che l’eventuale messa a disposizione di certe informazioni va rapportato all’inquadramento (livello) del dipendente. Si tenga anche presente che il possesso delle informazioni indicate non sembra compatibile con le competenze delle c.d. “Aso” in riferimento alla lettera D) della descrizione del processo di lavoro e alla competenza nr. 4 come indicate nell’accordo per il profilo professionale della figura del 7 ottobre 2021.

Perciò, al dipendente è accettabile e sicuro far gestire: incassi e fatturazione; una piccola contabilità di cassa contanti e delle marche da bollo; gli ordini e il magazzino. Con riserve: il ricevimento e il controllo delle fatture dei fornitori; l’aggiornamento dello scadenziario dei pagamenti al fine della preparazione di liste da consegnare al titolare, che provvederà personalmente all’esecuzione degli stessi; la previsione delle entrate. Se delegato ai versamenti in banca di contanti e assegni, si dovrà fare in modo che non possa venire a conoscenza dei saldi dei conti e dei movimenti. Non dovrà poter accedere all’home banking e visionare gli estratti conto bancari e delle carte di pagamento in uso al titolare.

Il “punto di equilibrio” del dentista

Il piano economico dell’attività, le simulazioni, il tempo e i ricavi necessari

Con l’analisi del punto di equilibrio (break even analyisis) si possono testare delle ipotesi alternative rispetto alle quantità di lavoro, ai prezzi, al reddito in più che si desidera, alle conseguenze di un nuovo investimento o spesa. Le formule del punto di equilibrio possono essere semplificate e portate in un pratico foglio Excel, come quello che presento, che uso nelle mie consulenze individuali, online e in presenza, e nella formazione. Evidenziata in verde è la zona della simulazione, che parte inserendo i proppri obiettivi nelle celle a fondo giallo. Di interesse anche i calcoli (automatici, nelle celle a fondo bianco) che il foglio Excel esegue a seguito dell’inserimento dei dati di ricavo, costo e di tempo dedicato nelle celle a fondo giallo

a) la tecnica del “punto di equilibrio” non è applicabile alla produzione odontoiatrica, serve infatti per capire se conviene o meno produrre o vendere scarpe o bulloni, a meno che il “prodotto”, cioè le prestazioni, non venga convertito in tempo, es. in ore, cosa che è assolutamente logica in quanto le prestazioni non si vendono, si “fanno”, il “prodotto” di un dentista è il tempo che riesce a dedicare all’esecuzione di prestazioni;

b) detta tecnica, in generale, serve per valutare percorsi alternativi (cosa succede se…);

c) la scheda di calcolo mostra una simulazione per vedere quante ore di produzione servono per coprire i costi o per ottenere un certo profitto (20.000 invece di 72.000 come si vede nei dati di partenza), quanti ricavi servono per per ottenere un profitto di 60.000, quante ore in più si dovrebbe lavorare, o quanti ricavi in più si dovrebbero realizzare (es. aumentando i prezzi) per continuare a mantenere lo stesso profitto (72.000), da qui l'”indifferenza”, ma aggiungendo una spesa (o un maggiore utile, il che è lo stesso) di 15.000.

L’ultima sezione del foglio di calcolo mostra una applicazione particolare del “punto di equilibrio”, che ho inventato io, che serve, ammesso di avere un “costo orario”, concetto che giudico sempre meno utile, per trasformare direttamente il tempo in denaro, ma questa è un’altra storia

Sempre deducibili le spese fatte su fornitori esteri?

Gli acquisti da fornitori esteri

MODELLO D ENPAM (ENTRO 31 LUGLIO). ATTENZIONE ALLE “RETTIFICHE FISCALI”

Adempimento: comunicazione a Enpam del reddito professionale, Modello D, entro il 31 luglio

Entro l’ultimo giorno del mese di luglio, l’iscritto all’ENPAM è tenuto a comunicare all’Ente l’ammontare del reddito professionale prodotto nell’anno precedente, sul quale l’Ente calcolerà l’importo della contribuzione percentuale annuale dovuta. L’adempimento in questione è disposto dai commi 4 e 5 dell’art. 3 del Regolamento generale del Fondo.

La comunicazione si esegue in via telematica, accedendo all’area riservata all’iscritto del sito Internet Enpam e compilando il noto “Modello D”. Nello stesso sito Internet si possono trovare le istruzioni per procedere a questo importante adempimento, che ogni anno coinvolge medici e odontoiatri che svolgono attività libero-professionale e i loro consulenti. L’utilità di rivolgersi ad un consulente, di solito il commercialista, è evocata nello stesso sito Internet dell’Ente: in una apposita sezione intitolata “Importo da dichiarare”, nella sottosezione “Dove cercare l’importo” si legge infatti che l’importo da inserire nel Modello D si può trovare “orientativamente” sulle dichiarazioni dei redditi relative all’anno oggetto di comunicazione, e che: “In ogni caso ti raccomandiamo di consultare sempre il tuo commercialista”.

La trasposizione dell’importo dai documenti fiscali al sito dell’Ente non è dunque cosa automatica e immediata, nonostante il comma 1 dell’art. 3 del citato Regolamento generale lo colleghi alla dichiarazione ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, il modello “Redditi PF”, dunque indispensabile ma non esaustivo riferimento. Più in generale, si può affermare che in alcuni casi il reddito imponibile ai fini fiscali e quello ai fini previdenziali non coincidono. Si può anche osservare che l’aspettativa dell’Ente, rispetto al Modello D, non è tanto quella, ufficiale, di ricevere l’importo del “reddito”, ma direttamente quello dell’imponibile previdenziale.

Il calcolo dell’imponibile previdenziale

Il motivo per cui l’individuazione dell’importo da comunicare nel Modello D richiede un supplemento di analisi rispetto al mero dato fiscale, deriva in primo luogo da quello che si può definire come “principio di onnicomprensività” dell’obbligo contributivo dell’Enpam, in relazione alla captazione del reddito imponibile previdenziale, sancito nel primo periodo del comma 2 dell’art. 3 del Regolamento generale. Tale onnicomprensività si traduce, sul piano pratico, nella possibilità che, in base alla estrema varietà delle situazioni individuali degli iscritti, ci possano essere dei redditi che sono imponibili ma che o non compaiono nella dichiarazione dei redditi, o sono in questa presenti in più “quadri” reddituali e non solo in quello dedicato al reddito professionale, il “quadro RE”.

Inoltre, in secondo luogo, l’esigenza di applicare la contribuzione sui redditi effettivamente prodotti con l’attività libero professionale, al netto delle spese sostenute per produrli, fissata come principio dal comma 2 bis dell’art. 3 citato, dove le parole: “si tiene conto esclusivamente delle spese deducibili secondo la vigente normativa fiscale”, evocano la necessità che le spese deducibili per il calcolo dell’imponibile previdenziale possiedano i requisiti dell’inerenza e dell’effettività, escludendo dalla deduzione dai “redditi, compensi, utili ed emolumenti”, ciò che non è servito per produrli. Per simmetria, dal calcolo dell’importo da comunicare andranno altresì espunti eventuali componenti positivi, presenti nelle dichiarazioni ma non dovuti alla professione.

La rettifica dei redditi fiscali

Quanto indicato sfocia nelle principali indicazioni formulate da Enpam ai fini dell’adempimento in esame, visibili nella citata sezione del sito Internet intitolata “Importo da dichiarare”, dalle quali si evince che, ai fini della comunicazione dell’imponibile previdenziale effettuata con il Modello D:

  • Rettifiche in diminuzione. Non devono essere conteggiati altri introiti, diversi da quelli “derivanti dallo svolgimento in qualunque forma dell’attività medica e odontoiatrica o di attività comunque attribuita all’iscritto in ragione della particolare competenza professionale”, quali sussidi o indennità per malattia o maternità, contributi ricevuti in conto esercizio o in conto capitale. E’ inoltre da considerare fra queste rettifiche anche l’importo di eventuali plusvalenze da cessione di beni strumentali, in quanto non si tratta di componenti connessi con l’esercizio professionale ma di mere rettifiche fiscali. Tali importi, presenti nella dichiarazione dei redditi vanno conteggiati, ai fini della determinazione dell’importo da comunicare, in diminuzione del reddito fiscale;
  • Rettifiche in aumento. Non si devono tenere in considerazione le agevolazioni né gli adeguamenti fiscali; le principali agevolazioni presenti nelle dichiarazioni dei redditi sono i cosiddetti “superammortamento” e “iperammortamento”, mentre per “adeguamenti” si dovranno intendere eventuali aggiunte “extracontabili” ai redditi dovuti alla eventuale volontà di adeguarsi, in dichiarazione, al calcolo dell’Isa, l’ex “studio di settore”, o al reddito minimo in caso di società “non operative”. Tali importi vanno conteggiati, ai fini della determinazione dell’importo da comunicare, in aumento del reddito fiscale. In aumento andranno anche conteggiate eventuali minusvalenze da cessione di beni strumentali, in quanto non si tratta di componenti connessi con l’esercizio professionale ma di mere rettifiche fiscali;
  • Si noti che le indicate rettifiche vanno applicate a detti valori se presenti nelle dichiarazioni dei redditi dell’iscritto come a quelle delle società cui eventualmente partecipasse, in preventiva rettifica del reddito fiscale da queste ultime a lui attribuito e oggetto della comunicazione del Modello D.

Per concludere, si può notare che per l’onnicomprensività delle varie casistiche reddituali che confluiscono nel calcolo dell’imponibile previdenziale dell’iscritto, compaiono anche dei redditi puramente figurativi, cioè non effettivamente percepiti. Si tratta dei redditi derivanti dalla partecipazione alle società, di persone e di capitali, i quali vanno considerati, al netto delle indicate rettifiche, indipendentemente dalla effettiva percezione.

QUANDO IN STUDIO “SI CORRE” (MA NON SI PRODUCE)

[QUANDO IN STUDIO SI CORRE]

e la produttività crolla, si deve “bilanciare” e cercare di individuare i “colli di bottiglia”.
L’immagine allegata a questa nota è un file Excel che utilizziamo per la consulenza quando il cliente ha problemi di produttività: nonostante i molti pazienti e la teorica disponibilità di ore produttive da parte dei numerosi operatori, l’eseguito è basso.
Per affrontare questioni del genere, soprattutto in studi multioperatore, si deve iniziare domandandosi se gli orari di presenza degli operatori sono “bilanciati” rispetto alle presenze delle assistenti e al numero di poltrone.
L’immagine mostra la primissima fase del processo di analisi, che si avvale di ulteriori file Excel via via più elaborati e precisi, fase in cui si inseriscono le ore di presenza concordate con i vari operatori, si formula un ipotesi rispetto, intanto, al numero di poltrone moltiplicato per l’orario di apertura dello studio (ore teoriche a disposizione degli operatori per poter operare) e corretto con una valutazione della percentuale effettiva di “disponibilità” delle poltrone, collegata ai vari tempi morti e soprattutto alla presenza di un numero di assistenti “bilanciato” rispetto a quello degli operatori.
Il file Excel che si vede è programmato in modo da colorare di rosso le celle dei totali ore giornalieri che superano le “ore disponibili”. Il file Excel gestisce le 4 settimane del mese, in quanto le presenze degli operatori non è detto che siano uguali per tutte le settimane.

Variando il nr. poltrone, l’orario di apertura e la percentuale di “attività delle poltrone”, il foglio Excel “risponde” istantaneamente, si possono compiere le necessarie simulazioni per decidere cosa modificare
STUDIO BILANCIAMENTO FASE 1

Dentista ditta individuale? Si, forse, no

In alcuni scritti, e in particolare in un articolo apparso nel gennaio 2021 su una rivista professionale, affermavo che l’attività odontoiatrica può essere gestita in modo imprenditoriale, anziché professionale, da parte di un imprenditore “individuale o societario”. Tale affermazione, si poggia sulla libertà per ogni soggetto giuridico pubblico o privato, di essere titolare di un ambulatorio purché autorizzato.

In seguito, sono apparsi dei contributi relativi alla possibilità per il dentista, rectius per un iscritto a un Ordine professionale, di operare come “ditta individuale”, iscritta in Camera di commercio, anziché come professionista intellettuale. Fra le differenze dei due status, quella fiscale comporta che nel primo caso la tassazione avverrebbe con le regole dettate per le imprese, nel secondo con quelle del lavoro autonomo.

Ora, prima di far notare che, da qualche anno, sembrerebbe esistere un generale divieto ad esercitare l’attività odontoiatrica in forma di ditta individuale, giova sapere che, per quanto scritto nel primo paragrafo, chiunque, può, come ditta individuale nonché come società commerciale, allestire un ambulatorio con i necessari requisiti, nominare un direttore sanitario e chiedere l’autorizzazione all’esercizio.

Però, se quel “chiunque” fosse un dentista in attività, si verrebbe a creare un conflitto insanabile fra la sostanza dell’attività, che è l’esercizio della professione, e la veste giuridica formale, che nel caso della ditta individuale, impresa, risulterebbe essere fittizia. Per capirsi, un dentista che facesse il suo mestiere come ditta individuale, risulterebbe portare contemporaneamente due “cappelli”, il che è, civilisticamente e fiscalmente, non consentito. Per le professioni ordinistiche, non c’è possibilità di scelta: vanno esercitate civilmente in base alle regole del contratto d’opera intellettuale, non a quelle del lavoro nell’impresa, fiscalmente in forma di lavoro autonomo. O non vanno esercitate. Il dentista che volesse essere titolare, in veste di ditta individuale cioè impresa, di un ambulatorio autorizzato, dovrebbe dunque, se non proprio “spretarsi” (cancellarsi dall’Ordine) almeno astenersi dall’esercitare nei fatti la professione, per farla fare ad altri abilitati in qualità di incaricati della ditta individuale. Oppure, al limite, ma molto al limite, la ditta individuale del dentista dovrebbe esercitare attività diversa da quella odontoiatrica, ad esempio la gestione di poliambulatori.

Venendo alla questione della apparente presenza di un vero e proprio divieto all’esercizio delle attività odontoiatriche come ditta individuale, si consideri la seguente disposizione di legge, il comma 153 art. 1 della legge 4 agosto 2017 nr. 124 (sottolineature mie):

“L’esercizio dell’attività odontoiatrica è consentito esclusivamente a soggetti in possesso dei titoli abilitanti di cui alla legge 24 luglio 1985, n. 409, che prestano la propria attività come liberi professionisti. L’esercizio dell’attività odontoiatrica è altresì consentito alle società operanti nel settore odontoiatrico le cui strutture siano dotate di un direttore sanitario iscritto all’albo degli odontoiatri e all’interno delle quali le prestazioni di cui all’articolo 2 della legge 24 luglio 1985, n. 409, siano erogate dai soggetti in possesso dei titoli abilitanti di cui alla medesima legge.”.

Si noti che la norma dispone per le “attività” odontoiatriche, non per la “professione”. Con questa disposizione, scritta per poter modificare la normativa nazionale delle Camere di commercio a seguito del parere 415099/2016 del MISE che, almeno “sulla carta”, impediva l’iscrizione in camera di commercio (rectius al Registro delle imprese) delle società commerciali qualora queste dichiarassero come attività svolta quella degli studi odontoiatrici, è stato rimosso l’effetto del parere, ma forse per una scrittura troppo rapida è sorto come effetto collaterale, tale almeno a me sembra, quello di riservare l’attività odontoiatrica solo ai liberi professionisti, alle STP e alle società commerciali. Niente imprese ditte individuali. Sta di fatto che, vigente questo apparente divieto, le camere di commercio hanno ugualmente iscritto ditte individuali che nei codici attività recano il codice 86.23 (come hanno continuato a iscrivere società commerciali anche dopo il parere del MISE ma prima della legge 124 del 2017), circa una novantina da ottobre 2017 ma, a titolo di mera informazione, di queste solo poco più di dieci dichiarano di svolgere effettivamente l’attività odontoiatrica (l’uso del codice Ateco è infatti obbligatorio in sede di apertura della partita Iva, quindi per l’Agenzia delle entrate, ma non per l’iscrizione di un’impresa che declina l’attività esercitata “a parole”) di cui otto risultano di proprietà di dentisti iscritti all’Ordine. Fra le altre ditte individuali con il codice attività 86.23, l’attività esercitata che va per la maggiore è la coltivazione di frutti oleosi e di cereali. Presenti in buona misura anche l’allevamento di suini ed equini, la locazione di immobili e la vendita per corrispondenza di prodotti alimentari. Insomma, un po’ di confusione, sarebbe meglio non provocarne altra.