Quando il consulente incontra il cliente resistente

🔹 Quando il consulente incontra il cliente resistente 🔹

Chi fa consulenza gestionale in odontoiatria, come il sottoscritto, sa che non si tratta solo di numeri, bilanci e contabilità. Spesso ci troviamo di fronte a dinamiche molto più complesse: titolari che pagano bene, ma che non accettano critiche; studi che funzionano clinicamente, ma sono fragili sul piano organizzativo; collaboratori storici che sopportano in silenzio; conflitti personali che incidono sulla vita economica.

Ho scritto un articolo in stile più “scientifico” proprio su questo tema: come gestire un cliente resistente al cambiamento, quando il nostro lavoro non è tanto trasformarlo, ma contenere il disordine, ridurre i conflitti e mantenere lo studio in vita.

Credo sia utile per chiunque si occupi di gestione e consulenza, perché mostra il lato meno visibile del nostro lavoro: non quello delle “soluzioni magiche”, ma quello della pazienza, della mediazione e dell’accettazione dei limiti reali del sistema.

Il cliente resistente e i limiti della consulenza: un caso applicato nel settore odontoiatrico

1. Premessa metodologica

La letteratura sulla consulenza distingue tradizionalmente tra consulenza esperta e consulenza di processo (Schein, 1969). Nel primo modello, il consulente fornisce risposte tecniche a problemi chiaramente definiti; nel secondo, accompagna il cliente a riconoscere la natura stessa del problema e a mobilitare le proprie risorse per affrontarlo.

Nella pratica professionale, tuttavia, le due dimensioni si intrecciano, e il consulente si trova spesso a operare in condizioni di ambiguità, resistenza e conflitto. È in questi contesti che emergono i limiti del ruolo: non sempre il cliente è disposto o in grado di cambiare, e il compito del consulente si riduce talvolta a contenere e incanalare, più che a trasformare.

Il caso presentato di seguito, pur con i necessari adattamenti per tutelare la riservatezza, illustra queste dinamiche.

2. Contesto del caso

Lo scenario riguarda uno studio odontoiatrico di medie dimensioni, guidato da un titolare con lunga esperienza clinica, giunto a una fase avanzata della carriera. Nonostante la reputazione professionale, la struttura presenta diverse criticità:

  • Indebitamento bancario significativo, sostenuto da continui apporti personali del titolare;
  • Gruppo di lavoro storico e consolidato, con dipendenti presenti da decenni, ma segnato da conflitti relazionali e rigidità di ruoli; presenza di relazioni parentali nel gruppo;
  • Stile di leadership fortemente accentrato, con scarsa delega e frequenti variazioni organizzative che generano disordine;
  • Prospettiva di transizione societaria, attraverso il coinvolgimento di un giovane odontoiatra intenzionato a investire, ma non ancora formato sul piano gestionale.

Il titolare manifesta, inoltre, condizioni personali e di salute che ne riducono la disponibilità al cambiamento e la tolleranza verso la complessità gestionale.

3. Tipologia del cliente: la resistenza strutturale

Il caso si colloca nella categoria del cliente resistente (Block, 2000):

  • accetta il consulente e ne riconosce la competenza, ma rigetta ogni proposta che implichi modificare davvero i propri comportamenti quotidiani;
  • attribuisce al compenso economico il diritto di demandare completamente agli altri, in quanto pagati, la risoluzione di problemi che solo lui ha il potere di risolvere;
  • vive la consulenza come strumento di conferma delle sue posizioni e del suo ego, non di trasformazione organizzativa ed economica;
  • tende a neutralizzare le soluzioni sgradite con rinvii, varianti continue, delegittimazioni implicite.

Questa resistenza non è episodica, ma sistemica: radicata nella personalità del cliente e nella cultura organizzativa che ha plasmato nel tempo e di cui ha intriso il suo gruppo di lavoro.

4. Il ruolo del consulente: tra esperto e contenitore

Il consulente, in tale scenario, è chiamato a operare su più piani:

  1. Tecnico – gestione finanziaria, controllo dei flussi di cassa, definizione di regole organizzative.
  2. Relazionale – mediazione dei conflitti interni, riduzione delle tensioni quotidiane, protezione del personale dal disordine generato.
  3. Strategico – costruzione di una prospettiva di futuro, in particolare attraverso il progetto di società con il giovane odontoiatra.

La posizione reale assunta è quella di un consulente–contenitore (Schein, 1999): non solo fornitore di soluzioni, ma figura che assorbe l’ansia del sistema e impedisce che le sue contraddizioni lo travolgano.

5. Esiti e limiti dell’intervento

In quattro anni di accompagnamento consulenziale, gli esiti ottenuti non riguardano una trasformazione radicale, bensì la tenuta del sistema:

  • lo studio ha evitato la chiusura, sbocco altrimenti inevitabile, nonostante la pressione finanziaria iniziale; la chiusura avrebbe significato la perdita totale dell’avviamento;
  • i conflitti interni, pur non risolti, sono rimasti sotto controllo e l’ambiente è diventato più vivibile;
  • è stato possibile motivare un giovane collaboratore verso l’idea di un ingresso societario, pur con riserve e cautele.

Il limite principale è rimasto costante: l’incapacità del titolare di accettare la perdita di controllo. La sua leadership accentratrice ha continuato a neutralizzare le iniziative più incisive, producendo un risultato di stabilizzazione piuttosto che di sviluppo. Meglio di niente.

6. Dinamiche psicologiche e organizzative

Il caso mette in luce alcuni fattori ricorrenti:

  • Resistenza al cambiamento: la disponibilità a rimettersi in discussione diminuisce, soprattutto in presenza di fragilità personali, dovute alla vita familiare, al denaro o alla salute.
  • Leadership accentrata come cultura organizzativa: non solo il titolare, ma l’intero gruppo di lavoro si struttura su una logica di dipendenza e di sopportazione. La delega è praticamente impossibile e tutto ricade sulle spalle del titolare, che non ha modo di fare fronte a tutto.
  • Motivazione esclusivamente economica: in presenza di personalità incapaci di cambiare, l’unica leva efficace è il denaro (riduzione del debito, maggiori incassi, prospettiva di cessione).
  • Sistema rigido: la presenza di personale storico e legami personali/familiari riduce lo spazio di manovra del consulente e allunga i tempi per ottenere rislutati.

7. Riflessioni per la teoria della consulenza

Questo caso conferma alcune acquisizioni teoriche:

  1. Non tutti i clienti sono “cambiabili” – L’obiettivo realistico può essere il contenimento e la sopravvivenza, non la trasformazione.
  2. Il consulente come contenitore – La funzione primaria è gestire ansie e resistenze, non fornire soluzioni tecniche lineari.
  3. Rischio di identificazione e dipendenza – In contesti ad alta intensità relazionale, il consulente deve vigilare sulla propria neutralità e sul proprio equilibrio, evitando di farsi inglobare dal sistema.
  4. Valore del risultato minimo – La stabilizzazione, spesso percepita come un insuccesso, rappresenta invece un esito di rilievo quando il rischio iniziale era il collasso.

8. Conclusione

La consulenza non è mai soltanto trasmissione di know-how tecnico. È soprattutto gestione di sistemi umani complessi, nei quali la resistenza al cambiamento è la norma più che l’eccezione.
Il caso presentato mostra come, in situazioni caratterizzate da forte rigidità, la professionalità del consulente non si misuri tanto dalla capacità di cambiare il cliente, quanto dalla capacità di accettarne i limiti, contenerne le derive e accompagnare il sistema verso una continuità possibile.

Riconoscere questi confini non è segno di debolezza, ma di maturità professionale.

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